venerdì 11 dicembre 2009

Turchia

Instanbul e i suoi mille volti

Instanbul e i suoi mille volti



La sua ricchissima storia, che la vede alle origini città greca dal nome di Bisanzio (greco antico, Βυζάντιον), poi capitale dell'Impero Romano d'Oriente col nome di Costantinopoli (latino, Constantinopolis) e infine capitale dell'Impero Ottomano con il nome turco di İstanbul, ha lasciato notevoli testimonianze archeologiche e architettoniche che la rendono anche un centro turistico di rilevanza mondiale.
Secondo un aneddoto il nome attuale deriva da una circostanza curiosa: quando i turchi alla conquista dell'Anatolia chiedevano ai greci dove fosse "la città" ricevevano come risposta, senza capirne il significato Isten polis, cioè "quella è la città", che finì per diventare il nome equivocato di Costantinopoli. Più probabilmente deriva da un'enfatizzazione della parola "città" per indicarla come la "città" per antonomasia, in analogia con la parola Urbe (o -in latino- "Urbs") con cui si indica Roma. Il nome Istanbul le venne dato ufficialmente solo attorno al 1930.
Il nome dell'odierna Istanbul comunque riflette, nel corso dei secoli, il succedersi delle civiltà che ne hanno segnato la storia. Fondata dai coloni greci di Megara, nel 667 a.C., viene chiamata originariamente Βυζάντιον (Byzántion) in onore del loro re Byzantas. Sarà dunque Byzantium in latino e successivamente Bisanzio in italiano.
Il nome greco di Κωνσταντινούπολις (Konstantinoupolis), da cui il latino Constantinopolis e l'italiano Costantinopoli, significa "Città di Costantino". Tale nome le fu dato in onore dell'imperatore romano Costantino I quando la città divenne capitale dell'impero romano, l'11 maggio dell'anno 330. Costantino la ribattezzò Nova Roma, ma questa denominazione non entrò mai nell'uso comune, sebbene ancora oggi la denominazione ufficiale secondo la Chiesa ortodossa e il Patriarcato Ecumenico sia "Costantinopoli Nuova Roma". Costantinopoli divenne successivamente la capitale dell'Impero Bizantino fino a quando, nel 1453, venne espugnata dai Turchi Ottomani.
Il nome "Istanbul" potrebbe derivare dalla frase greca medievale "εἰς τὴν Πόλιν" (da leggersi con la pronuncia "istimˈbolin"), oppure da quella in dialetto ionico "εἰς τὰν Πόλιν" (pron. "istamˈbolin"), che significa "alla Città" o "nella Città" [4]. In questo modo i Greci si riferivano alla Città delle Città, come Costantinopoli era conosciuta durante l'era bizantina e successivamente. Più probabilmente è una semplice corruzione del greco [Kon]stan[inou]pol dove "pol" è diventato "bul" come anche in altri adattamenti di nomi greci contenenti il termine "polis" e con l'aggiunta del prefisso "I-"; esempi sono le città di Smirne e di Nicea, diventate Izmir ed Iznik e Gelibolu, in greco Kallipolis. Il nome Stambul era di uso corrente nell'Ottocento.
La fondazione di Bisanzio, da parte dei coloni greci di Megara, risale al 667 a.C. Grazie alla posizione di controllo sul Bosforo, la città si sviluppò in breve tempo tanto da diventare oggetto di contesa durante le guerre del Peloponneso.
Dopo essersi schierata con Pescennio Nigro contro il vittorioso Settimio Severo, la città fu assediata e largamente distrutta fra il 193 e il 195. Nel 196 Bisanzio entrò a far parte dell'impero romano e fu ricostruita dallo stesso Settimio Severo, divenuto Imperatore, riottenendo rapidamente la sua precedente prosperitLa posizione strategica di Bisanzio attrasse anche l'imperatore Costantino I che, l'11 maggio 330, la rifondò come "Nova Roma" (ma presto prese invece il nome di Costantinopoli), secondo la leggenda dopo un sogno profetico nel quale gli veniva indicato il posto dove stabilire la città. Costantino costruì un numero impressionante di palazzi, chiese, luoghi di divertimento, tra cui il famoso circo dove si svolgevano anche cerimonie e che vedrà sommosse e assemblee popolari. La città continuò a crescere anche dopo Costantino, nell'arco di un secolo furono costruite nuove mura che quasi raddoppiarono la superficie della città.
Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, la posizione strategica di Costantinopoli avrebbe continuato a giocare un ruolo importante come punto di passaggio fra due continenti (Europa e Asia), e successivamente un polo d'attrazione per l'Africa ed altri paesi dal punto di vista commerciale, culturale e diplomatico. Costantinopoli controllò per lungo tempo le rotte fra Asia ed Europa, così come il passaggio dal Mar Mediterraneo al Mar Nero.
A Costantinopoli nasce ciò che è considerato il fondamento del diritto romano, il Corpus Iuris Civilis, voluto da Giustiniano tra il 528 e il 565.
Durante il medioevo, Costantinopoli fu la più grande e ricca città d'Europa: si pensa che nel X secolo potesse avere fino a un milione di abitanti. La maggior basilica costantiniana,Hagia Sophia (Divina Sapienza), monumento di estrema rilevanza architettonica dedicato alla Divina Sapienza, da sempre centro religioso della città, diventa il centro della cristianità greco-ortodossa. Nonostante le aspre lotte interne per il potere e la scarsa autorità individuale dell'imperatore, l'oligarchia bizantina mantenne una stabile struttura politica durante i quasi mille anni dell'impero.
Dotata di un notevole impianto di fortificazioni, la città rimase per secoli inespugnata, fino al 1204, quando venne saccheggiata dagli eserciti della quarta crociata che instaurò per circa un secolo "L' impero latino". Per Costantinopoli era iniziato il suo declino. Il 29 maggio 1453, la città cadde in mano ai Turchi ottomani guidati da Maometto II il Conquistatore ( Fatih ), che ne fece la capitale dell'Impero Ottomano. La caduta di Costantinopoli, e quindi la fine dell'Impero Romano d'Oriente, è indicata talvolta come l'evento che convenzionalmente chiude il medioevo e inizia l'evo moderno. Sotto i sultani ottomani, Costantinopoli ritrovò un nuovo periodo di splendore, diventando sede de facto del califfato nel 1517, ma mantenendo la sede del Patriarcato Greco-Ortodosso (nonostante la forzata conversione della Basilica di Santa Sofia in moschea) e in generale il carattere cosmopolita che la caratterizzò nei secoli precedenti. Il XVI secolo segnò l'apice del potere ottomano. A questo secolo risale la costruzione delle più importanti moschee della città: Beyazit, Suleymaniye (la più grande moschea di Istanbul), Sultan Ahmet e Fatih.
L'impero ottomano, sconfitto durante la prima guerra mondiale, finì ufficialmente il 1º novembre 1922. Quando nel 1923 fu fondata la Repubblica di Turchia, la capitale venne spostata da Istanbul ad Ankara. In un primo tempo trascurata in favore della nuova capitale, Istanbul passò attraverso un periodo di grande trasformazione negli anni '50 e '60. Prima degli anni '60,

BAKLAVA



La baklava è un dessert molto popolare in quasi tutte le cucine arabe e mediterranee: ci sono versioni greche (μπακλαβά), albanesi (bakllava), bulgare (баклава), serbe (baklava/баклава), arabe appunto (بقلاوة baqlāwa), israeliane (בַּקְלָוָה, בקלווה baqlava), persiane (باقلوا baqlavā), armene (փախլավա pʼaḫlava), bosniache e turche (baklava) di questo dolce ricchissimo di zucchero.
Sembra che gli assiri, nell'VIII secolo a.C., siano stati il primo popolo nel Mediterraneo orientale ad infornare un miscuglio di noci tritate e miele avvolte in una pasta, creando quindi il predecessore della baklava. Secondo questa teoria, i marinai e mercanti greci, nei loro viaggi ad oriente, scoprirono presto la delizia di questo dolce e lo importarono ad Atene. Il maggior contributo greco al suo sviluppo fu la creazione di una tecnica che permise di arrotolare la pasta in sfoglie sottili, come foglie appunto, e quindi avvolgere le noci in numerosi strati molto soffici. Questa pasta si chiama oggi phyllo (o filo), dal greco con significato di foglia. Vassoi di baklava come le conosciamo oggi erano infornate in ogni cucina di ogni casa che si rispettasse e che potesse permetterselo in ogni occasione speciale, a partire dal III secolo a.C.
Durante il periodo bizantino, gli armeni aggiunsero per la prima volta la cannella e i chiodi di garofano; successivamente gli arabi introdussero la variante del cardamomo e dell'acqua di rose. Il nome stesso è omaggio alla cultura araba, dato che deriva direttamente dalla parola baklavi, che significa noci, ma una quantità di altre nazioni e culture culinarie ne hanno dato un'interpretazione, con l'aggiunta di svariate spezie. Nel periodo ottomano seguito al collasso di Bisanzio, questi dolci divennero le vere favorite dei sultani. Due tra gli ingredienti principali, le noci e il miele, appunto, erano ritenuti afrodisiaci e ciò ne giustificava l'altissimo prezzo. Ancor oggi è espressione comune, tra i meno abbienti o la classe media turca, il non essere "ricco abbastanza da poter avere in tavola baklava e burek ogni giorno". Pare che il pasticciere di Maria Antonietta, in esilio, sia riuscito a modificare un piatto a cui non mancava praticamente nulla, per quanto riguarda gusto e consistenza, modificandolo esteticamente in maniera molto blanda. Con tocco francese, ne variò il taglio e la piegatura, creando la tecnica a cupola, chiamata infatti "frenk baklavasi", che è oggi la più comune forma in cui si trova questo dolce.
La baklava è un dolce complesso e stratificato, di sottili sfoglie di pasta filo, proprio come foglie o fogli di carta, imburrate e appoggiate in una teglia: noci tritate più o meno finemente, assieme a pistacchi, vengono sparse sui vari strati, che vengono poi arrotolati e cotti al forno, prima di essere imbevuti con una soluzione di zucchero e succo di limone o miele e spezie con acqua di rose. Nelle tradizioni greca e turca, a questo punto viene tagliato in triangoli, quadrati o rettangoli, in Libano la forma prediletta è quella del diamante/rombo o sempre in Turchia, arrotolato e tagliato in fette circolari. Come quasi tutti i piatti molto diffusi, quasi ogni regione, o forse quasi ogni famiglia, ne conserva una ricetta diversa.

Dosi per 4 persone: 1 Bicchiere Burro Fuso, 1 Bicchiere Noci Tritate, 750 G Zucchero, 250 G Farina, 2 Uova, 1 Cucchiaino Olio D'oliva, 1 Limone, Fecola Di Patate, 1 Cucchiaino Sale

Come preparare la ricetta Baklava:

Mescolare la farina, le uova e il sale con una tazzina d'acqua, lavorare a lungo la pasta, farne una palla e lasciar riposare coprendo con uno straccio umido. Dividere la pasta in 8-10 pezzi, versarci sopra la fecola e tirare la pasta cercando di ottenere dei dischi sottilissimi. Imburrare una teglia rotonda e disporre alternativamente uno strato di pasta e uno di burro fuso, fino a metà teglia, poi uno strato di noci e poi di nuovo pasta e burro fuso alternati. Infornare a calore medio e cuocere per circa un'ora. Preparare a parte uno sciroppo con lo zucchero, acqua e il succo di un limone, farlo bollire per un paio di minuti. Lasciar raffreddare e poi versarlo sul dolce quando è cotto. Tagliare a triangoli o rombi della grandezza preferita e servire.

mercoledì 9 dicembre 2009

Tunisia

Qualche annedoto sulla Tunisia

Qualche annedoto sulla Tunisia



Posizionata in un punto strategico per i commerci mediterranei, la Tunisia è stata sempre oggetto di ondate migratorie che hanno visto passare berberi, fenici, romani, barbari, arabi, turchi e francesi.
Questo ha favorito una tipo di cultura molto eclettico e particolarmente sensibile, che pur restando fedele ai canoni islamici, non disdegna aperture intellettuali verso generi artistici di altre realtà.
La lingua principale è l’arabo, anche se la popolazione parla francese, italiano e vari dialetti di origine berbera.
La religione praticata dalla maggior parte degli abitanti della Tunisia è quella islamica, anche se si trovano minoranze cristiane ed una comunità ebraica.
L’influenza della varie civiltà che si sono avvicendate in Tunisia è particolarmente visibile nel Nord del paese, nei pressi di Tunisi si possono ammirare dei splendidi mosaici di origine romana ed i resti di Cartagine, oltre che più tarde costruzioni in stile moresco e turco.
Il sostrato architettonico di stile islamico si può particolarmente apprezzare nei mercati (suq) solitamente attrezzati all’interno della medina, che sarebbe la parte più antica delle città, nelle moschee e negli hammam, i famosi bagni turchi.


Insalata mechouïa




INGREDIENTI: 
 
400-500 gr di friarelli
2-3 pomodori rossi (dipende dalla grandezza)
3 cipolle rosse medie
6 spicchi d'aglio
1 peperoncino piccante fresco
sale e olio e.v. d'oliva q.b.
6 uova
320 gr di tonno (due scatolette grandine)



Lava le verdure, spunta i friarelli dal picciolo verde lasciandoli però integri, stessa cosa per i pomodori e il peperoncino. Sbuccia e dividi in 4 ogni cipolla. Sbuccia e lascia interi gli spicchi d'aglio. Disponi tutte le verdure in una teglia capiente, l'importante è che non siano troppo sovrapposte, e fai cuocere in forno già caldo per almeno un venti minuti-mezz'ora.Togli le verdure dal forno. Insomma, prendi le verdurine e le passi nel tritacarne. Il tritato lo devi miscelare bene e condire con olio extravergine d'oliva e sale. A parte fai bollire un uovo a testa: lasciali ammollo in acqua fredda mentre distribuisci l'insalata nei piatti e guanisci con il tonno sbriciolato. Sbuccia le uova e affettale in quarti, aggiungile ad ogni piatto. 

martedì 1 dicembre 2009

Gli antichi romani a tavola




Di buon’ora, appena sveglio e senza neanche lavarsi le mani, il Romano consuma uno dei due pasti della giornata, una colazione sostanziosa a base di pane e formaggio, frutta e carne. Si tratta spesso degli avanzi della cena del giorno prima, che gli invitati ad un banchetto possono portarsi a casa in un cestino. Sbrigati i primi affari, si dedica al prandium, lo spuntino della tarda mattinata, sobrio e veloce. L’evento culinario della giornata si svolge invece al pomeriggio, quando il Romano abbiente, dopo il consueto bagno alle terme, e quindi verso le tre o le quattro del pomeriggio, si siede comodamente a tavola fino al calare del sole. Qui le portate sono numerose, fino a sei, ognuna con una serie svariata di piatti. Nella cena normale dopo l’antipasto - gustatio - seguono le portate principali di carne e pesce e si chiude con le secundae mensae, cioè i dessert. La serata continua con il simposio, in cui alla mescita di vino - sempre annacquato - si accompagna ancora qualche cibo, come i porri, che stimolano la voglia di bere.
Una serie di norme di buona educazione e di etichetta regola la cena, anche rispetto alla disposizione dei posti a tavola. Nel triclinio (sala da pranzo), infatti, il padrone di casa fa disporre i letti tricliniari, su cui i convitati si distendono a due o tre, sostenedosi con il braccio sinistro piegato. In tal modo la mano destra è libera di afferrare i cibi dai bassi tavolini accuratamente imbanditi davanti agli ospiti.
Il posto d’onore, detto “consolare”, è all’estrema destra del letto centrale, ed è così chiamato dal fatto che un messaggero, entrando dalla porta postagli di fronte, può facilmente trasmettere al convitato ivi disteso una comunicazione importante e urgente. Il padrone di casa si dispone subito a sinistra dell’ospite d’onore.
Nelle case più ricche le sale da pranzo sono più d’una, e vengono occupate secondo la stagione dell’anno e l’orientamento : i triclini estivi, spesso seminterrati e contenenti fontanelle e giochi d’acqua, sono orientati a nord, mentre quelli invernali prospettano a ovest, fatto che permette di cogliere gli ultimi raggi di sole della giornata.

L’alimentazione romana di epoca arcaica e repubblicana è sobria, a base di legumi, cereali, formaggio e frutta ; con la conquista dell’Oriente, invece, almeno sulle mense ricche, arrivano nuovi ingredienti da tutte le province.Accanto al pane quotidiano, alla puls (sorta di polenta condita), alle grandi quantità di lupini, lenticchie, ceci e soprattutto fave, oltre a lattughe, cavoli e porri, fichi, mele e pere, incominciano ad essere consumati anche cibi di lontana provenienza, come le ciliege, importate per la prima volta dall’Oriente da Lucullo.
Il Romano povero, ovviamente, non ha accesso ai cibi importati e costosi e in casa non ha neanche il triclinio. Egli continua la tradizione antica di pasti frugali ed economici. Il Romano ricco, invece, come ci tramandano abbondantemente le fonti, offre frequentemente banchetti, cui partecipano decine di amici e clienti. Qui i cibi sono vari, cucinati con cura ed anche molto elaborati, almeno stando alle ricette del cuoco Apicio, giunte fino a noi. Sono molto apprezzate le uova di anitra, piccione e pernice e molto consumato è il pesce, fresco o in salamoia. Simile ad alcune salse orientali moderne a base di pesce salato e fermentato (come il Nuoc Nam indocinese), è il garum, una delle salse più note dell’antichità, di cui esistono diverse varietà. Ancora più diffuso, però, è sicuramente l’olio d’oliva, importato soprattutto dalla Baetica (odierna Andalusia) e dall’Africa settentrionale, le cui anfore da trasporto hanno formato in Roma, in circa tre secoli, una vera e propria collinetta artificiale : il monte Testaccio (detto “Monte dei cocci”).
Si mangia raramente carne bovina, più spesso carne ovina e caprina, e comune è il maiale, del quale si è imparato a sfruttare ogni parte. Il consumo di insaccati è enorme e apprezzata la carne di volatili - da cortile e da voliera - prodotta intensivamente nelle ville rustiche o cacciata, insieme a selvaggina più grande, come cinghiali, daini, cervi e caprioli. Una delle caratteristiche fondamentali della cucina romana è l’accostamento di gusti opposti, del piccante con il dolce, del dolce con l’aromatico. Oggi non troveremmo poi così gradevoli gran parte delle ricette che ci sono pervenute, ad esempio le pere lesse con miele, passito, salsa di pesce, olio e uova, e forse neanche le pietanze a base di gru, fenicotteri, pappagalli e pavoni che ornavano certe tavole molto raffinate.

Toscana

Il territorio toscano è molto vario e ricco di colori, con un continuo susseguirsi di verdi e fertili colline come quelle del Chianti, spesso dominate dagli ondulati crinali dell’Appennino e dalle vette delle Alpi Apuane. Il Monte Amiata, antico vulcano ormai spento, svetta tra le province di Siena e Grosseto; le Colline Metallifere separano l’entroterra meridionale pisano dalla Maremma; i Monti Pisani si stagliano tra Pisa e Lucca e il Pratomagno, quasi completamente circondato dall'Arno, divide la parte appenninica dell'aretino, il Casentino, dal Valdarno superiore fiorentino. Il Monte Cetona, infine, si innalza all'estremità sud-orientale della provincia di Siena separando la Val d'Orcia dalla Val di Chiana. L’Arno è il fiume più importante. Le pianure sono soprattutto nella parte centro-meridionale. Il litorale è lungo oltre 300 Km e presenta coste rocciose e promontori alternati a lunghi tratti di spiagge ornate di pinete. Fanno parte del territorio anche i circa 300 Kmq delle isole dell'arcipelago.
Basterebbe la sola Firenze per promuovere questa regione tra le mete più amate dai turisti di tutto il mondo. Ma la Toscana è anche Siena con piazza del Campo e il suo mitico Palio; Pisa con la Torre pendente e il Battistero; Arezzo con la Pieve di Santa Maria; Livorno con la Fortezza vecchia; Lucca con le sue storiche mura; il Chianti con la sua dolcezza e la sua tradizione vitivinicola. Di estremo fascino la cosiddetta Toscana minore, costellata di piccoli borghi dalle atmosfere medievali: San Gimignano, Fiesole, Volterra e Montepulciano. Figlia del Rinascimento Pienza, ricche di storia le spiagge della mondana Versilia, unici i gioielli naturalistici dell’Isola d’Elba e di tutto l’arcipelago toscano. Senza dimenticare le coste dell’Argentario o il cuore selvaggio della Maremma, ricca di agriturismi. Per gli amanti del fitness, invece, massaggi e trattamenti tra le acque calde delle terme di Saturnia (Grosseto) o quelle di Montecatini (Pistoia), per rigenerare anima e corpo.


La Toscana è universalmente conosciuta per la sua ricchezza di monumenti e opere d'arte. Celebri in tutto il mondo sono Firenze, Lucca, Pisa e Siena. Meno note ma ricche di tesori anche Arezzo, Carrara, Pistoia e Prato. Sono moltissimi poi i centri minori, alcuni dei quali veri e propri borghi storici perfettamente conservati, custodi di opere di inestimabile valore: Cortona, Fiesole, San Gimignano, Pienza, Montalcino, Montepulciano e Volterra.
 La sua natura è caratterizzata da morbide colline, il gioco cromatico dei campi, i casali e i cipressi. Ma non solo. La Toscana è anche la sorpresa di vette innevate, di stagni e lagune, della macchia mediterranea che si spinge a lambire il mare, di boschi, di una campagna segnata dal lavoro millenario dell’uomo. Senza dimenticare i parchi e le riserve naturali: l’arcipelago toscano, le foreste casentinesi, l’Appennino, le Alpi Apuane, la Maremma e tutta l’area incontaminata di Migliarino-San Rossore-Massacciuccoli.
 


I fagioli all'uccelletto

Il contorno più rinomato della cucina tradizionale toscana è senz'altro quello dei fagioli all’uccelletto. Una ricetta semplice ma non adatta a chi ha fretta...
Tempo di cottura: 20 minuti

Ingredienti per 4 persone:
Fagioli secchi 100 gr. per persona (oppure fagioli freschi 250 gr.)
Tipo di fagioli: cannellini, toscanelli, capponi
200 gr. di pomodori maturi a grappolo o pelati
Olio extravergine d’oliva
2 spicchi d’aglio
1 rametto di erba salvia

Prima di passare alla ricetta vera e propria ci soffermiamo sulla cottura dei fagioli che è davvero cruciale per una buona riuscita della ricetta.
Innanzitutto, se si tratta di fagioli secchi, non consigliamo di metterli a bagno la sera prima e neppure di aggiungere il bicarbonato come cert’uni consigliano. Consigliamo tanta pazienza e soprattutto una cottura a fuoco più che lento, tanto che i fagioli quasi non si dovrebbero muovere nella pentola.
Per cominciare, la pentola migliore è quella di coccio e, se non la si ha a disposizione, può andare bene anche una pentola con un fondo termico abbastanza spesso. L’acqua nella pentola deve essere pari a cinque volte il peso dei fagioli che desiderate cuocere. La fiamma come si è detto dev’essere bassissima e la cottura piuttosto prolungata. Nell’acqua dovete mettere un rametto di erba salvia,uno spicchio d’aglio e un cucchiaio di olio d’oliva. Fate cuocere fino a che i vostri fagioli non risultino teneri. Se si tratta di fagioli freschi allora dovrete coprirli di acqua per almeno 4 dita, portateli velocemente ad ebollizione e poi lasciate che cuociano a fuoco lento, come per i fagioli secchi anche per i freschi occorre pazienza anche se il tempo di cottura è decisamente più breve.
Una volta lessati i fagioli, mettete in un tegame, magari di terracotta e fate rosolare delicatamente con i due spicchi d’aglio rigorosamente vestito il rametto di salvia e 75 ml di olio d’oliva. Dopo due o tre minuti aggiungete i pomodori che avrete sbucciato e privato dei semi, fate cuocere fino a che non otterrete una salsa piuttosto densa, aggiungete allora i fagioli precedentemente lessati, salate e pepate a piacere.
Proseguite la cottura per circa quindici minuti avendo cura di assaggiare di tanto in tanto per valutarne meglio il grado di cottura.



Si chiamano fagioli all’uccelletto poiché vengono cucinati come gli uccelletti, quindi con erba salvia e condimento simile a quello usato per cucinare gli uccelli. E’ stato l’Artusi a dare questo appellativo ai fagioli cucinati in questa maniera.